L'incubo ecologico del Marocco: La plastica
Una presenza invadente
06/08/2010.
Viaggiando per il Marocco, negli ultimi anni, ho avuto la possibilità di respirare la brezza atlantica, così come l’aria fresca della catene montuose dell’Atlas, di sedermi di fronte alle coste mediterranee, così come fra le dune del deserto, di percorrere distese di terra il cui colore attraversa tutte le sfumature che vanno dal rosso fertile al bianco arido. Anche solo velocemente, il mio sguardo ha spesso raggiunto villaggi, bidonvilles, metropoli… Questo mi permette oggi di dire, consapevolmente, di aver osservato solo una minima parte dell’immenso patrimonio naturale e artificiale del Marocco.Tuttavia affermo, con la stessa certezza, che vi è una protagonista indiscussa in ognuna delle circostanze appena descritte, presente in varie forme. Destinata a durare a lungo nel tempo, per le sue caratteristiche intrinseche, e ampiamente visibile anche a livello spaziale, la plastica è senza dubbio una costante nella stragrande maggioranza dei paesaggi marocchini.
La sua forma specifica, quella che più si adatta a svolazzare in tutte le zone, è il sacchetto di plastica. Le buste di vari colori sono presenti sui marciapiedi delle città, sugli scogli, sulle sterminate distese desertiche, nelle foreste di querce, sugli alberi di Argan nella parte centro occidentale del paese e sui cedri delle foreste settentrionali. E’ facile immaginare come tutto quel petrolio (sottoforma di plastica) sia finito in luoghi lontani dai centri abitati. Il lancio dei rifiuti dalle auto, per esempio, potrebbe essere un’ipotesi.
I sacchetti fatti di questo materiale difficilmente degradabile sono impiegati per conservare, soffocandole, le verdure e la frutta comprate fresche al mercato, come anche per trasportare il pane appena uscito dal forno. In questo modo, una volta arrivato a casa, il pane ha un sapore alterato e, di certo, non fa bene alla salute di chi lo mangia. I sacchetti di plastica, nella versione rinforzata (almeno due per volta), sono usati per riporre le bottiglie di birra o alcool in generale, al fine di non renderle visibili.
Inutile dire che, non utilizzati per più di una volta, queste protagoniste invadenti vengono abbandonate ovunque. Gli usi non si limitano agli alimenti o agli acquisti nei negozi: ad esempio il venditore di gioielli mi ha fatto provare il bracciale solo dopo aver infilato la mia mano dentro a una bustina, fino all’avambraccio, per farlo scivolare meglio. La plastica è entrata persino nelle espressioni linguistiche: con ma ddiri ‘ain mika ("non fare gli occhi di plastica") si intende dire, in darija, di non fare il finto tonto. Il senza fissa dimora, fino a un paio di settimane fa, bruciava ogni notte sacchetti e altri oggetti di plastica. Le banlieues di Casablanca, tre notti fa, emettevano fumi scuri e, a detta del mio amico nato e cresciuto in questo paese, quella di bruciare i rifiuti di notte è una pratica assai comune.Infine, sono sempre delle bustine, spesso rosa, da cui i bambini sniffano la colla nelle grandi città. Quello che non stupisce, ma fa riflettere, è che tutta questa plastica viene offerta come se fosse un gesto d’amore (al mercato capita spesso). Con la stessa espressione benevola con cui, durante le attese, viene offerto un tè -salutare e rinfrescante di questi tempi- così il venditore ti porge con dolce insistenza il sacchetto di plastica.Questa “gentile” pratica dimostra quanto poco si conosca il significato del tutto contrario di un simile gesto. Non si tratta solo di paesaggi sfigurati da immense distese di rifiuti, bensì di danni gravi apportati alla salute dell’ambiente, degli animali e dell’uomo che ne sono parte.Anche noto come Argania Spinosa, è uno degli alberi più antichi della terra. Alcune stime lo farebbero risalire a circa 80 milioni di anni fa. Le prime citazioni risalgono al 1219 e sono contenute nei documenti dell’andaluso Ibn Al-Baytar. L’Argan cresce principalmente in due zone del pianeta, Marocco e Messico. Reso famoso per la produzione di olio, svolge un ruolo fondamentale nel fragile ecosistema di quest’area semi-desertica del Marocco. Grazie alle sue radici contrasta l’erosione del terreno e frena l’avanzare della desertificazione.
l tempo di decomposizione della plastica è stimato tra i 100 e i 1000 anni. Al contrario, il periodo di utilizzo effettivo è assai breve .
Fonte: arabismo.itPer approfondire :
Marocco, guerra ai sacchetti di plastica
La guerra ai sacchetti di plastica inquina di piu' ?
L'inquinamento a Casablanca
lunedì 6 settembre 2010
Plastica marocchina
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento