giovedì 2 settembre 2010

In buone mani

LA NUOVA TURCHIA DEBUTTA AL CONSIGLIO DI SICUREZZA 1/9/10

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di Gianna Pontecorboli

 

Con l'inizio del nuovo mese, a sedersi al posto di presidente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu arriverà un diplomatico che molti definiscono timido e riservato, abile ma poco incline ad aprirsi con colleghi e giornalisti, l'ambasciatore turco Ertugrul Apakan. 
Apakan assumerà il suo incarico solo casualmente, visto che i  15 rappresentanti del consiglio si avvicendano al tavolo della presidenza in ordine alfabetico e senza distinzione tra i membri permanenti e quelli non permanenti. In agosto spettava ai russi e  adesso e' la volta della Turchia, che e' entrata nel consiglio all'inizio del 2009 e ne usciraà a gennaio del 2011. 
Nel calendario del Palazzo di Vetro, pero',settembre occupa sempre  un posto particolarmente importante. L'inizio dell'autunno porta a New York capi di Stato e ministri e l'apertura della nuova Assemblea Generale offre l'occasione ai grandi della terra di discutere a quattr'occhi i problemi piu' pressanti del momento.
La  rotazione di routine, in questo momento, rischia cosi' di assumere un significato tutto particolare. Sotto la presidenza del riservato Apakan, gia' si sa , arriveranno sul tavolo a ferro di cavalli diversi tra i problemi piu' pressanti del momento, il Medio Oriente, le sanzioni all'Iran e al Sudan, le missioni dell'Onu in Afganistan e in Congo, gli aiuti per Haiti, la tragedia della Somalia.
Il 23 settembre, secondo i programmi, l'ambasciatore cedera' il posto al presidente turco Abdullah Gul per una riunione dedicata al tema della protezione della pace. Il 27, il diplomatico accompagnera' il ministro degli esteri Ahmet Davutoghi a una seduta dedicata alla lotta al terrorismo. Il 17, inoltre, sara' presentanto ai quindici membri del consiglio il primo rapporto degli investigatori dell'Onu sull'incidente della Mavi Marmara.
Per gli osservatori, soprattutto quelli occidentali, la presidenza turca del Consiglio di Sicurezza si trasformera' quindi in un'occasione per dare una risposta a molti interrogativi sulla direzione che il  governo di Erdogan vuole prendere nel prossimo futuro.
Per anni, non e' certo un mistero, la Turchia ha rappresentanto una delle speranze di chi voleva aprire un dialogo con il mondo musulmano moderato. A partire dal 2008, tuttavia, molte cose sono cambiate. Secondo un'indiscrezione del Financial Times, poi smentita a mezze parole dalla Casa Bianca, il presidente Obama avrebbe addirittura minacciato personalmente  Erdogan nei giorni scorsi di interrompere tutte le forniture di armi americane alla Turchia se Ankara non modichera' il suo atteggiamento nei confronti dell'Iran, di Israele e dell'Armenia.
Malgrado la smentita ufficale di Washington, proprio alcune delle mosse turche all'Onu hanno certo preoccupato  non poco l'ammnistrazione americana. A giugno di quest'anno, per esempio, una risoluzione del consiglio di Sicurezza, a lungo dibattuta per vincere le perplessita' della Russia e della Cina, ha reso piu' severe le sanzioni contro Teheran per il suo programma nucleare. Il provvedimento e' stato pero' approvato con l'opposizione di due membri non permanenti, il Brasile e , appunto, la Turchia.
Nei confronti dell'incidente della Mavi Marmara, la nave della flottiglia  diretta a Gaza assaltato dalle truppe israeliane, l'atteggiamento del governo di Erdogan non e' stato meno aspro, tant'e' vero che perfino alcuni giornali turchi solitamente vicini al primo ministro si sono chiesti se le richieste di scuse non siano state troppo dure per un paese che sostiene di voler comunque continuare il dialogo con lo stato ebraico. 
Per il Palazzo di Vetro, le ragioni di Erdogan non sono certo un mistero. Basti pensare che gli scambi commerciali tra Ankara e Teheran hanno superato lo scorso anno i 10 miliardi di dollari e che gli oleodotti che collegano i due paesi trasportano giornalmente circa 20 milio di metri cubici di gas. Altrettanto chiaro, per i diplomatici, e' il fatto che il rapporto di amicizia che si sta sviluppando tra l'Iran e la Turchia ha dei precisi limiti, visto che entrambe i paesi ambiscono all'egemonia regionale e che le due popolazioni, una in prevalenza sciita e l'altra sunnita, sono profondamente diverse.
Adesso, saranno sicuramente le caute mosse diplomatiche dell'ambasciatore Apakan a dare alcune risposte. E, sotto il tetto del Palazzo di Vetro, non saranno solo gli Usa a prestare attenzione . L'Unione Europea e Israele, c'e' da scommetterci, non perderanno un solo segnale.

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