Il paradosso è che a soffrire di più per la moratoria imposta da Netanyahu sulle nuove costruzioni in Cisgiordania sono stati i palestinesi. Persone come Walid Hassoun. Per dieci mesi i bulldozer di questo imprenditore edile della città arabo-israeliana di Tira, sono rimasti fermi dalle parti dell’insediamento ebraico di Yakir. Spenti, sotto al caldo cocente e alla pioggia battente.
Il signor Hassoun – scrive il quotidiano Haaretz – «gode di ottima reputazione ed è ritenuto affidabile dai coloni ebrei in Cisgiordania». È alla sua impresa che si sono rivolti gl’insediamenti di Revava e Yakir per aggiungere nuove costruzioni. E lo faranno anche nei prossimi mesi. In questi giorni, insieme al figlio, Hassoun sta visionando lo stato di avanzamento dei lavori congelati per tutti questi mesi.
Muratori palestinesi lavorano stano costruendo una palazzina nell'insediamento ebraico di Har Homa, a sud di Gerusalemme (foto di Jim Hollander / Epa)
Per ogni signor Hassoun, poi, ce ne sono altri cento – palestinesi anche loro – che dalla mattina fino al calar del sole si guadagnano da mangiare tirando su muri, decorando case e rifinendo stanze. Muri, case e stanze di proprietà dei coloni, ovviamente.
Lavorare per il «nemico». Lavorare con il «nemico». S’era già visto a Gerusalemme Est. Con tutte quelle case ebraiche edificate anche di sabato, anche durante il Sukkot, anche durante la Pesach. Tutti momenti in cui vige il riposo assoluto. Ecco, ci hanno messo qualche settimana i giornalisti a capire che a metter mano nelle abitazioni degl’israeliani erano i palestinesi.
Gente, i palestinesi, che preferisce lavorare. Sopravvivere. E, perché no, mettere anche qualche soldo da parte. La politica, la religione e i proclami di Hamas a loro non interessano. Semmai li usano come rumore di sottofondo di una giornata piena di carriole, badili, cazzuole, mattoni e cemento.
Leonard Berberi
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venerdì 1 ottobre 2010
Operai palestinesi per colonie ebraiche
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