2 MILIARDI DAI REGIMI ARABI PER PREVENIRE RIVOLTE
La paura di altre ribellioni, dopo quella tunisina, spinge despoti e dittatori ad aumentare i sussidi pubblici ai milioni di poveri e disoccupati che popolano la regione.
Roma, 21 gennaio 2011, Nena News – La paura di subire la stessa sorte del presidente-tiranno della Tunisia, Ben Ali, costretto a fuggire dal suo paese sull’onda della rivolta popolare, spinge i despoti e dittatori arabi, a cominciare da quelli che partecipano fedelmente i disegni statunitensi nella regione, ad aumentare il sostegno ai più poveri e ai disoccupati. Al termine del vertice arabo tenuto questa settimana a Sharm el Sheikh (Sinai) i leader presenti hanno deciso di investire 2 miliardi (1,4 già stanziati) per sostenere le decine di milioni di cittadini arabi che stanno pagando con povertà, disoccupazione, miseria, mancanza di alloggi, le conseguenze della crisi economica mondiale ma anche le dinnessate politiche liberiste attuate dai regimi nei rispettivi paesi «per contenere la spesa», senza sottovalutare il peso della corruzione dilagante.
«Lo spirito arabo è a pezzi a causa della povertà, della disoccupazione e del calo negli indici di sviluppo», ha detto in apertura del vertice il segretario generale della Lega Araba Amr Mussa facendo un ritratto impietoso delle condizioni di vita dei paesi arabi. La dichiarazione finale del summit ha affermato che la sicurezza alimentare rappresenta la priorità maggiore e che la questione verrà affrontata nell’ambito di una nuova visione. Un’altra priorità, aggiunge il documento, è la sicurezza della fornitura d’acqua, visti gli effetti del cambiamento climatico. Una questione che richiede, secondo i leader, una vera e propria strategia per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. I paesi arabi dovranno creare quaranta milioni di lavoro nei prossimi dieci anni, ha spiegato il ministro dell’industria egiziano Rashid Mohamed Rashid, ma i tempi stringono dato che, come ha detto ancora Amr Mussa, «i cittadini arabi sono in uno stato di collera e di frustrazione senza precedenti».
In questi ultimi 2-3 giorni si è appreso che i regnanti kuwaitiani garantiranno razioni alimentari per 818 milioni di dollari e prestiti individuali fino a 4 mila dollari ai cittadini dell’emirato. Il saudita re Abdallah ha annunciato che la monarchia – che incassa una fetta cospicua delle entrate generate dall’esportazione petrolifera – investirà 68 miliardi di dollari per progetti volti a ridurre drasticamente la disoccupazione. L’altro re Abdallah, quello della Giordania, da parte sua ha ordinato un calo dei prezzi dei generi di consumo. Il governo di Amman ha anche annunciato un pacchetto di misure economiche del valore di 230 milioni di dollari, per creare occupazione.
Ma economisti e ministri arabi sostenitori del liberismo (adottato in economia da gran parte dei regimi regionali) scuotono la testa e chiedono «rigore» nella spesa. Ad esempio il ministro egiziano delle finanze,Youssef Boutros-Ghali, ha chiesto di trovare un equilibrio tra i «costi eccessivi» dei sussidi a cibo e carburante e il crescente deficit del bilancio nazionale. Il ministro egiziano pensa a tenere in perfetto ordine i conti pubblici mentre milioni di suoi concittadini patiscono la fame e non hanno speranze per il futuro. Solo lo scorso anno, rivela il Cabinet Information Centre del Cairo, almeno 104 mila egiziani hanno tentato di togliersi la vita e la maggioranza di essi aveva una età compresa tra i 18 e i 25 anni. Nena News
L’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha sollecitato il governo tunisino a garantire che le forze di sicurezza cessino l’uso eccessivo di forza contro i dimostranti e ad avviare indagini trasparenti e credibili sui decessi avvenuti durante le recenti proteste contro gli aumenti dei prezzi, le scarse opportunità di occupazione, la presunta corruzione e le limitazioni dei diritti e delle libertà fondamentali.
Ventuno sono le persone uccise tra l’otto e il nove gennaio, secondo cifre ufficiali governative, anche se le organizzazioni per i diritti umani parlano perfino di un numero maggiore. Se è vero che la situazione è precipitata durante il fine settimana, tuttavia decessi si erano già registrati nelle settimane precedenti. Le manifestazioni, iniziate il 17 dicembre, continuano in tutto il paese.
“Qualunque sia il numero totale, sono estremamente preoccupata per l’elevato numero di persone uccise in Tunisia durante le ultime settimane,” ha affermato Navi Pillay. “E’ essenziale che ci si conformi con urgenza e in maniera rigorosa alle norme fondamentali internazionali sui diritti umani, e ai principi guida in materia di utilizzo delle armi da fuoco.”
“I resoconti indicano che la maggior parte delle proteste sia stata di natura pacifica, e che le forze di sicurezza abbiano reagito con eccessiva forza in violazione degli standard internazionali. È imperativo che il Governo avvii un’inchiesta trasparente, credibile e indipendente su violenze e uccisioni. Se si prova che membri delle forze di sicurezza hanno utilizzato forza eccessiva, o hanno perpetrato uccisioni extra-giudiziali, essi devono essere arrestati, processati e, se ritenuti colpevoli di reato, puniti conformemente alla legge. E’ essenziale che si faccia giustizia, e che il pubblico ne sia consapevole.”
Navi Pillay ha inoltre espresso preoccupazioni circa resoconti su una vasta ondata di arresti, tra cui quelli dei difensori dei diritti umani e dei blogger che invocano principi fondamentali dei diritti umani come la libertà di espressione, come pure a proposito a proposito di notizie su tortura e maltrattamenti inflitti ai detenuti in Tunisia. “Se è giusto che le persone vengano arrestate se vi è la prova che queste abbiano commesso crimini come violenze e incendi dolosi, nessuno dovrebbe essere arrestato o molestato per aver levato la propria voce a sostegno dei diritti umani”. “I difensori dei diritti umani e i blogger, arrestati esclusivamente per le loro attività pacifiche, devono essere liberati immediatamente”, ha detto.
Navi Pillay ha sollecitato il governo a dare una risposta alle cause che sono alla base dei disordini e a dare attuazione a politiche in grado di alleviare le difficoltà economiche ed eliminare le pesanti limitazioni sulla libertà di associazione, opinione ed espressione, come quella di associazione.